martedì 22 marzo 2011

NEL BUIO ARDE (di Lucio Leone - Ad Est dell'Equatore Edizioni,2010)



2010, 140 p.
Editore Ad Est dell'Equatore (collana Extras)
Euro 10,00


Scalpellato su un arazzo di tinte fosche che riescono a intorbidire persino la Città del Sole per eccellenza (Napoli, nella fattispecie quella del 1876) , “Nel buio arde” è il romanzo d'esordio di Lucio Leone, interessantissimo (e inquietante...) scrittore partenopeo che ha già dato prova del suo talento letterario con racconti di spessore, tra i quali quelli presenti in antologie come “Partenope Pandemonium” (Larcher, 2008), “Questi fantasmi” (Boopen Led, 2010) e soprattutto “Napoli – Geografie del Mistero (Perrone/Lab, 2010), dove ho la fortuna e l'onore di averlo come Compagno/Autore di Viaggio...
Ma torniamo al romanzo, che tra l'altro è imperniato su una delle figure più misteriose, inquietanti e controverse del XIX° secolo: la medium Eusapia Palladino.
La voce narrante appartiene al giovane medico napoletano Ercole Chiaia, un uomo morbosamente attratto dall'occultismo (forse a causa di un'orrenda visione avuta quando era bambino: quella di uno spirito maligno il cui nome, Jehelzabel, gli verrà addirittura rivelato durante una spaventosa visita al nuovo manicomio di Aversa...).
Ercole viene sprofondato in un abisso tenebroso e delirante, della mente e dell'anima, dopo lo sfortunato incontro con un suo ex compagno di studi universitari, il dottor Roberto Damiani, tornato da Londra perchè, a sua volta, attratto da un oscuro enigma, che sembra ruotare intorno all'antico e tenebroso Palazzo Conca.
Ai due si affiancheranno altri compagni di sventura, quali la suddetta celebre medium Eusapia Palladino, i signori nel cui palazzo presta servizio come cameriera, i coniugi Migaldi e l'attricetta di teatro oppiomane Anna De Santis.
E così, mentre i colori e i sapori di Napoli perdono intensità, pagina dopo pagina, per lasciare il posto a una gamma di grigi via via più scuri e a una putredine malevola che, scivolando tra Piazza Bellini, il Duomo, il vecchio porto, Santa Maria Maggiore della Pietrasanta e l'aristocratico quartiere collinare di Posillipo, tra sedute spiritiche suggestive quanto spaventose, immotivati gesti suicidi, demoniache suggestioni mentali, oscure quanto orribili maledizioni e misteri rosacruciani, si insinuano sempre più profondamente nell'anima dei protagonisti, fin dove non c'è più possibilità di Salvezza, laddove neanche la Fede potrà far nulla...
Se amate Napoli non solo per quanto rivela in superfice, ma soprattutto per quanto può nascondere; se amate i romanzi dove non c'è una soluzione a ogni costo; se sapete apprezzare anche certi profumi di zolfo che esalano da una visione delle cose non propriamente solare, ecco...questo bellissimo romanzo non potrà mancare nelle vostre polverose librerie!
(Recensione a cura di) Domenico Nigro

giovedì 16 dicembre 2010

Varney il vampiro - All’ombra del Vesuvio (di Thomas Preskett Prest e James Malcolm Rymer - Ed. Gargoyle Books)



Titolo: Varney il vampiro - All’ombra del Vesuvio
Autore: Thomas Preskett Prest e James Malcolm Rymer
Editore: Gargoyle Books
ISBN: 9788889541494
Pagine: 591
Prezzo: € 16,00


È un vampiro scatenato quello che imperversa nelle pagine di questo terzo e conclusivo volume della saga di Sir Varney; nessun altro succhia-sangue della letteratura ci entusiasma con tanta vivacità, con tanta inventiva e perseveranza nell’escogitare il suo ennesimo banchetto di sangue, l’ulteriore furto d’identità o la nuova maschera concepiti per servire i propri bisogni demoniaci e dar vita così a quel concatenarsi di racconti che fanno la peculiarità dell’opera stessa: un romanzo fiume scritto nel segno dei penny dreadfuls. L’introduzione di Mauro Boselli (l’autore di Dampyr) bene ci illumina sulle caratteristiche imposte e connaturate nella penny-letteratura; e proprio nella sua appassionata descrizione scopriamo come fosse inevitabile la comparsa di una moltitudine di personaggi e colpi di scena in uno stesso romanzo, e come il ripetersi degli agguati sanguinari di Varney il Vampiro dovessero tingersi di un notevole fervore immaginativo per non annoiare il lettore. Ci troviamo così di fronte a un capitolo conclusivo della saga che, salvo due o tre trame più corpose e complesse, si costruisce quasi come un’antologia di racconti di orrore gotico con uno stesso protagonista principale, finendo con il divertire, appassionare e disperdere immediatamente il maggiore timore di un qualunque lettore che si appresti a leggere un qualunque libro acquistato: quello di annoiarsi. Varney il vampiro comparirà di volta in volta nella vita di numerose famiglie, tutte impegnate nella conquista del proprio benessere, ciascuna in una città diversa di una diversa regione: e vorrà mettere queste stesse vite a soqquadro con i propri appetiti, i propri istinti predatori affiancati talvolta dal suo cinismo, talvolta dalla sua malinconia decadente, romantica e quasi suicida. E riuscirà talora a raggiungere ogni suo losco e necessario fine, così come gli capiterà invece spesso di essere costretto alla sua fuga dalla sua stessa fama oramai disseminata ovunque, e sempre quando ad un passo dalla conquista del proprio proposito. Giovani fanciulle predate nella notte in un bagno di sangue, matrimoni ottenuti e perduti; viaggi in lungo e in largo tra l’Inghilterra, Napoli, Venezia; resurrezioni multiple di Varney, omicidi con inseguimenti rocamboleschi: il capitolo conclusivo di Sir Varney diverte e sorprende regalandoci un finale del tutto imprevedibile, e non prima che dallo stesso protagonista ci venga raccontata la propria esistenza, e con essa sia svelato il perché della propria natura soggiogata dal conflitto interiore tra male e bene, tra la tensione ideale e morale e l’impulso di cui il vampirismo si fa metafora.

Gli autori: Inizialmente fu Thomas Preskett Prest - scrittore londinese cui si deve il romanzo Sweeney Todd, the Demon Barber of Fleet Street (che ha ispirato John Schlesinger e Tim Burton per i loro film sul barbiere cannibale, rispettivamente La bottega degli orrori di Sweeney Todd,1997 e Sweeney Todd il diabolico barbiere di Fleet Street, 2008) a venire ritenuto autore di Varney il vampiro, in seguito, però, si fece il nome di James Malcolm Rymer, ingegnere civile che arrotondava i suoi introiti dedicandosi alla scrittura su commissione per l'editore Lloyd, da molti reputato più attendibile quanto a paternità dell'opera. Rymer probabilmente si spartiva, coordinandolo, il lavoro con altri vari scrittori rimasti ignoti, al punto che la redazione del testo sembra più provenire da una "scuola", o da una catena di montaggio, in cui il nome dell'autore rimane anonimo e non appare comunque di primaria importanza...
(Recensione a cura di) Bruno Maiorano

mercoledì 15 dicembre 2010

Intervista ad Alan John Scarfe (a.k.a. Clanash Farjeon)



Alan John Scarfe è l'autore di due stupendi quanto sanguinosi romanzi qui recensiti: "I v ampiri di Ciudad Juarez" e "Le memorie di Jack lo squartatore".
In questa intervista che ha gentilmente rilasciato a Ca' delle Ombre, avrà modo di spiegarci meglio i tratti della sua singolare narrativa e ci darà anticipazioni sulla sua saga vampiresca in 3 volumi, di cui "I vampiri di Ciudad Juarez" è il primo, esaltante, capitolo.
Un ringraziamento doveroso va a Susanna Angelino, per la precisissima
traduzione in inglese delle domande... Senza di lei sarebbe stata decisamente
dura!!!!
Buona lettura, affezionati horrorofili!!!


CdO: Hello Mister Scarfe, thanks for spending some of your time to answer
this interview. Your idea to connect horror with some aspects of social
life is very fascinating and transforms real facts into something even more eerie.
What led you to make this choice?

Scarfe: It wasn't a conscious choice. To me the story of our so-
called 'human' species is an endless saga of gore and blood. Yes, I
know it can be looked at quite differently. It can be seen as a story
of boundless creativity and invention, of musical and literary and
scientific genius, or the slow and patient development of
'civilization'. But what fascinates me is the way we live our ordinary
lives apart from the obvious horror of what is going on around us. In
my novel The Vampires of 9/11 which will be published by Gargoyle
Books next spring I focus on the fact that the American public cannot
seem to bring itself to realize what happened that day. That as with
the Kennedy assassinations, the death of Martin Luther King, the Gulf
of Tonkin deception, the outright lies that allowed the Bush and Blair
administrations to begin the carnage in Iraq etc etc etc people seem
unable or unwilling or uninterested to look the facts squarely in the
face. I'm writing about this double-consciousness. It is
evident, I hope, in the psychology of Lyttleton Stewart Forbes Winslow
in my Jack the Ripper novel and in the self-deceiving vampirism of the
Portillos in The Vampires of Ciudad Juarez which allows them to
indulge their cruelty. It surrounds us every day. To me it is a mystery that
otherwise reasonably sane people can claim to believe in a fiction
called 'God'.

CdO: Other writers and directors (such as Brian Yuzna and George Rome for
instance) have used horror as a form of denouncement. Is there someone
in particular that inspired your decision?

Scarfe: No. I hardly ever read novels and certainly not 'horror'
novels. But I do read a lot of 'horror' history.

CdO: To me “The Autobiography of Jack The Ripper” rather than a historical affresco in itself is very realistic, seeing the uncertainties of our time. Do you think that the social concerns of Victorian London might be juxtaposed to the present situation?

Scarfe: The 'social concerns' have essentially been the same
since our species came down from the trees. There has always been an
element in every society that has tried to gather the wealth of that
society unto itself. It is somewhat the same in every species. The
dominant male lion eats first even if he didn't do the work and so on
and so on. But with homo sapiens it always goes beyond the point
necessary for 'genetic survival'. In Victorian London the schism between the elegance of
Mayfair and the slums of Whitechapel was very pronounced. And it is
even more so in modern America where 500 multi-billionaires exist side
by side with 60 million people who live below the poverty line.
It is a convenient fiction that everyone alive on the
planet could have the comfortable lifestyle that I do no matter how
well we might be able to husband our resources. It has been proved
that the earth could support perhaps one or two billion in this way at
the most. The super-rich know this very well and it gives them the
justification to live as selfishly as they do. But I'm part of it.
We're all part of it.

CdO: “The Autobiography of Jack The Ripper” is very different to “The
Vampires of Ciudad Juarez” both in the narrative style and in the setting. Was it
difficult to pass from one setting to the other?

Scarfe: Not at all. The style of the prose for the autobiography
was in some ways dictated by Lyttleton Stewart Forbes Winslow's own
writings. His autobiography, Recollections of Forty Years, contains a
complete chapter about Jack the Ripper from which I borrowed heavily.
I think virtually every word of that chapter can be found somewhere in
my book. And I wanted to convey a sense of his insanity which required
some incongruous interpolations in the text. Certainly the theme of
the 'double brain' is central to the book. Juarez contains a substantial leaven of comedy, at least
I hope so, which was not to be found in Jack's ramblings. And the
narrative style reflects the need to interweave many different stories
which was also not the case with the single narrative line of Jack's
life.

CdO: "The vampires of Ciudad Juarez" offers a very daring revision of the
vampire character. What led you to this?

Scarfe: Since I am writing about the justifications that people
invent for the cruelty they so enjoy .. Lyttleton's search for God ..
the Portillos imagining themselves to be vampires .. it wasn't really
a revision. The revision is in the Portillo's minds. Of course, in Juarez I am primarily using vampire
imagery as metaphor but I do leave the issue of the 'reality' of
vampires open. I think it remains open in The Vampires of 9/11 and I
shall not reveal what happens in novel three.

CdO: That was the first chapter of a trilogy concerning the vampire
character. Can you give us some anticipations about the sequel of the saga?

Scarfe: All I can tell you about 9/11, the Italian translation is
nearly finished, is that it transcends the horror of Juarez. The
perpetrators of 9/11 are far worse people than the Portillos and their
deeds infinitely more vile.

CdO: The next chapter of the saga (to be released in 2011 from Gargoyle
Books) will have the name of “The Vampires of 9/11”. Why did you choose to talk
about that event? Don’t you consider it a risk since it is such an inflated topic?

Scarfe: Yes, I think it is a risk and I think it is very
courageous of Gargoyle Books to publish it. However, I hope it mixes
fantasy and reality in such a way that it will not appear to take
advantage of all those thousands who died that day in the United
States and are still dying in Iraq and Afghanistan. Clearly from what I have said I do not believe the official story of what took place that day and my motivation in
writing about it is because of that.

CdO: I would like to ask you a question which arises from some reflections on
your writings: Could a horror story ever be more cruel and cynical than human
beings?

Scarfe: I certainly do not think so. I think it is possible to describe the
crimes of Jean-Pierre Bemba for example but I don't think something worse can
really be conceived. Can one imagine a torture more horrifying than that
inflicted on the assassin Balthasar Gerard? We have the many instances of
genocide in human history. And countless concentration camps. What about
Hiroshima, Nagasaki or the bombing Dresden? 9/11 is small in comparison. My
imagination cannot stretch further than what human beings have already done.

CdO: Would you like to say something to the readers of Ca’ delle Ombre?

Scarfe: Yes. If you would like to know more about me or contact
me directly please go to www.marchscarfe.com.

CdO: This interview is over. I hope we can read your other two books in the
near future “The Vampires of 9/11” and “The Vampires of the Holy Spirit”.

Scarfe: I believe that Gargoyle will issue 9/11 in April 2011. I
am still working on Holy Spirit but I hope I can finish it by next
summer and that Gargoyle will make it available sometime in 2012.

CdO: Good luck for your future projects and thank you once again for your
availability.

Scarfe: It has been my pleasure and I thank you once again for
your kind words about these rather strange books.

(Intervista a cura di) Valerio Bonante

domenica 21 novembre 2010

IL DIACONO (di Andrea G. Colombo - Ed. Gargoyle Books)


Formato: Brossura
ISBN: 978-88-89541-47-0
Pagine: 488
Pubblicato: Ottobre 2010

Un cielo un po' più dubbioso del solito. Una voce insinuante. Una voce come mille voci. Un mormorio assordante, come il grido di mille anime torturate: Lei sta arrivando.
In un monastero umbro è raccolto uno degli ordini ecclesiastici più controversi della Cristianità: l'ordine dei Celati. Trentatré monaci esorcisti la cui ferrea regola non permette di scoprire neanche il volto. Ammantati in un grigio saio. Ai piedi pesanti scarponi. La vita stretta da una catena. Un semplice crocifisso di ferro come arma.
“Hominis conspectum celati, nudi sub Dei oculis”.
Santa Romana Chiesa non potrebbe pretendere di meglio. Trentatré guerrieri della Fede, pronti ad estirpare il maligno dai corpi con una forza mai vista.
Fra di loro ce n'è uno senza nome, senza storia. Vestito di un saio nero come il baratro. Tutti lo chiamano “il Diacono” ed è, forse, il miglior esorcista apparso sulla terra dopo Gesù Cristo, ma il suo passato ha troppe ombre per non destare un po' di inquietudine.
All'improvviso succede qualcosa. In sordina. Ma che inizia a proliferare come un tumore. Gli esorcismi diventano sempre più difficili fino a perdere di efficacia, alcune chiese iniziano a bruciare, un numero crescente di esorcisti muore in circostanze singolari.
Una bomba esplode negli appartamenti papali.
Pochi capiscono che il mondo non è più lo stesso. Ancora meno persone iniziano a sentirla arrivare. Lei, N'Talha Jeza, La Divoratrice; avanza lenta e inesorabile in un delirio di carne e sangue in cui tutti i pezzi si incastreranno alla perfezione fino a condurre alla Rivelazione ultima: l'Armageddon.
Tutti noi siamo porte. Porte attraverso cui forze più grandi di noi possono agire. Tutti possono ospitare il maligno, ed è proprio questo a rendere angosciante questo libro. Non ci si può fidare di nessuno.
La storia c'è. Ed è dannatamente forte. Quando sembra che le sorti dell'horror si siano ormai adagiate sulle solite tiritere scialbe di vampiri e zombi, Andrea G. Colombo tira fuori dal cilindro una rilettura di un leitmotiv di molti horror negli anni '70 e '80: il tema della possessione demoniaca, contaminandolo, probabilmente, col filone delle pandemie, che tanto ha dato da mangiare ai grandi cast di Hollywood, specie nell'ultimo decennio.
Devo essere sincero. Pochi libri ti tengono legato a loro dall'inizio alla fine. “Il Diacono” è uno di quelli.
Una narrazione precisa, veloce eppure particolareggiata. La scansione del tempo ricorda molto Valerio Evangelisti, e questo non può che essere un merito. Inoltre, la visualità di tutta l'opera è disarmante. In senso positivo, si intende.
Impossibile non pensare, in alcuni passaggi del romanzo, al lavoro di Dan Brown in “Angeli e demoni”, ma non credo affatto che il richiamo, per quanto inevitabile, sia voluto.
Non serve spendere troppe parole per un lavoro fatto bene. Il libro parla da solo.
Se avessi qualche milione di euro da investire, io sarei il primo a offrirmi di produrre un film da questo libro straordinario. Se c'è qualche produttore lì fuori, invece di perdere tempo con le mie recensioni, per favore, ci faccia un pensierino su e darà alla luce un VERO film horror, perché “Il Diacono” merita!
(Recensione a cura di) valerio Bonante

lunedì 15 novembre 2010

Devil (di John Erick Dowdle - USA 2010)



Devil è un film diretto dai fratelli Dowdle (ricordiamo che uno di essi, John Erick Dowdle, ha diretto ‘Quarantena’ il remake pedissequo di ‘Rec’), uscito nella sale cinematografiche italiane il 12 novembre 2010.
Il plot è lineare e ha come protagonista il sovrannaturale, in questo caso il diavolo in persona (ovvero che ha le fattezze di un umano in questo caso).
La storia comincia con un’inquadratura al contrario dei grattacieli americani, simbolo della poca ‘cristianità’ che aleggia nei giorni nostri, del capitalismo e della corsa sfrenata ai soldi soffermandosi su uno di questi in particolare. L’inquadratura al contrario è data dall’ordine ‘sovvertito’ che il diavolo provocherebbe con la sua presenza. Il racconto è scandito dalla voce di un sorvegliante di questo grattacielo, Ramirez, che afferma che quando il diavolo sta per arrivare, manifesta la sua presenza con un suicidio. E assistiamo ad un suicidio, guarda caso. Una persona si butta dal grattacielo in questione, con un rosario in mano, finendo su un furgone. A prendere le redini in mano della situazione c’è il detective Bowden (Chris Messina) che ha dietro alle spalle una storia a dir poco inquietante (la famiglia era stata uccisa da un pirata della strada il quale aveva lasciato al povero detective un unico biglietto con su scritto ‘Mi dispiace’).
L’inquadratura ora passa ad un gruppetto eterogeneo di persone che rimane incastrato in un ascensore a causa di un guasto tecnico (almeno così sembra all’inizio). Questi sono: l’addetto alla sorveglianza Ben (Bokeem Woodbine), Jane (Jenny O’Hara), un’anziana donna all’apparenza molto tranquilla, Sarah (Bojana Novakovic), una giovane benestante, Tony (Logan Marshall-Green), un ex reduce di guerra e infine Vince (Geoffrey Arend), un giovane venditore di materassi. I cinque cominciano ad innervosirsi quando capiscono che ci vorrà del tempo per riparare il guasto. Così la tensione aumenta fino a quando andrà via la luce. Durante il black out, Sarah viene aggredita alle spalle e sanguina. La sua ferita sembra essere un vero e proprio morso. Tutti additano il giovane Vince, il quale aveva preso di mira Sarah fin dall’inizio sino a quando, nel secondo black out, Vince muore, attraverso un pezzo di specchio rotto conficcato direttamente nella giugulare. Da quel momento in poi tutti cominceranno a sospettare di tutti, cercando di capire chi possa essere l’assassino.
‘Devil’ è il primo film di una trilogia che prende il nome di ‘Night Chronicles’, dove vediamo M. Night Shyamalan come produttore e autore del soggetto. Dal trailer si sperava in un horror sì claustrofobico ma ricco di colpi di scena e attimi di suspence. Così non è stato purtroppo. Il film si muove su un andirivieni di scene che passano dall’ascensore, ai grattacieli tetri e il cielo plumbeo, per poi ritornare all’ascensore e alla sala macchine, dove il povero detective Bowden cerca di risolvere il caso nel modo più razionale possibile, senza capire che c’è lo zampino del diavolo in persona a dirigere il circo dei burattini rimasti chiusi in un luogo che è solo il mezzo per far espiare loro i peccati.
In un’epoca dove la claustrofobia sembra fare da motore e da colonna portante del cinema (ricordiamo il magnifico ‘Buried’, girato interamente in una bara), Shyamalan ha ben pensato di utilizzarla, mischiando una delle paure più diffuse tra gli uomini, con la paura atavica per eccellenza: l’ignoto, in questo caso caratterizzato dal diavolo che si muove tra gli umani mietendo vittime. Il film più che horror sembra assumere i toni nel noir ad un certo punto visto che, gli unici momenti che potevano essere splatter (gli omicidi nell’ascensore) si svolgono al buio, durante i vari black out nell’ascensore. Ed è qui che crolla definitivamente la suspence. Il film manca anche della caratterizzazione dei personaggi, della loro psicologia e della loro storia. Qualche cosa riusciamo a scoprirlo solo grazie al detective Bowden che indaga sul loro passato, scoprendo che tutti hanno dei precedenti penali. Il diavolo quindi stavolta, non ha scelto degli innocenti tra le sue vittime, ma ha scelto personaggi che, prima o poi, sarebbero comunque giunti all’inferno, sottolineando molto probabilmente che tutti noi, bene o male, siamo peccatori e i nostri peccati ci seguono ovunque.
Il finale non è scontato ed è forse questo a salvare un plot abbastanza barcollante e privo di grandi idee.
Speriamo che i prossimi capitoli della trilogia siano più convincenti. Da Shyamalan infatti, ci aspettiamo questo ed altro.
(Recensione a cura di) Susanna Angelino


Titolo originale: Devil.
Lingua originale: Inglese.
Paese: Stati Uniti.
Anno: 2010.
Durata: 80 minuti.
Colore: colore.
Audio: sonoro.
Genere: horror, thriller, noir.
Regia: John Erick Dowdle.
Soggetto: M. Night Shyamalan.
Sceneggiatura: Brian Nelson.
Produttore: M. Night Shyamalan, Sam Mercer, Joseph Boccia.
Casa di produzione: Media Rights Capital, Night Chronicles.
Distribuzione (Italia): Universal Pictures.
Fotografia: Tak Fujimoto.
Montaggio: Elliot Greenberg.
Interpreti e personaggi:
Chris Messina: Detective Bowden.
Bojana Novakovic: Sarah.
Bokeem Woodbine: Ben.
Logan Marshall-Green: Tony.
Jenny O'Hara: Jane.
Jacob Vargas: Ramirez.
Matt Craven: Lustig.
Geoffrey Arend: Vince.

venerdì 12 novembre 2010

Il Diacono - Libreria Mursia (Milano) - 11/11/2010. Presentazione ufficiale



E' stata una bellissima quanto inquietante presentazione, quella del romanzo "Il Diacono" di Andrea G. Colombo (Ed. Gargoyle Books) ieri sera alla libreria Mursia di Milano. Patrocinato dai Maestri Assoluti della narrativa horror/giallo/noir/thriller della Narrativa italiana contemporanea (Sergio Altieri, Danilo Arona, Stefano Di Marino e Luca Crovi), l'evento ha visto la sentita partecipazione di un pubblico numeroso ed entusiasta, composto da persone vive, demoni incarnati (pare proprio di si...) ed Entità Astratte quanto malevole (Melissa? Pazuzu in versione femminile? Chi era presente capirà a cosa mi riferisco...)
Entusiasmante l'intervento dell'Autore, che ha descritto, con dovizia di (paurosi) particolari la genesi del romanzo, e ha risposto con prontezza e spirito al fuoco di fila di domande del maligno Crovi, del giullaresco quanto provocatorio e inquietante Arona e dell'intellettuale e "blasfemo" Altieri. Per non parlare dell'anfitrione demoniaco Stefano Di Marino, che per l'occasione ha sfoggiato un look assolutamente all'altezza dell'evento (vedi foto)...
Cos'altro aggiungere? Niente, se non il consiglio di acquistare e leggere "Il Diacono", soprattutto a quegli appassionati di letteratura horror di stampo sovrannaturale che stavano ancora aspettando l'erede di William Peter Blatty...o dell'Anticristo, se preferite...
Prossimamente la nostra recensione ;) ...
(Domenico Nigro))

Alcune immagini della serata...






mercoledì 10 novembre 2010

LE MEMORIE DI JACK LO SQUARTATORE (di Clanash Farjeon - Ed. Gargoyle Books)


Formato: brossura
ISBN: 978-88-89541-24-1
Pagine: 328
Pubblicato: Settembre 2008


Londra. Fine del XIX secolo. Quartiere di Whitechapel. Non c'è bisogno che aggiunga altro perché la vostra mente si porti per libera associazione ai sanguinosi delitti dalla firma ignota, che i giornali dell'epoca attribuirono al fantomatico “Jack lo squartatore”.
Sette delitti certi (ma forse parecchi di più) che tennero sveglia molta gente per più di una notte.
Sette donne macellate, scannate, mutilate da mani abili e poi abbandonate in luridi vicoli oscuri. Forse come monito, forse per macabra sfida all'autorità. Poi, da un giorno all'altro, più nulla.
Il caso venne archiviato, ma la minacciosa ombra di Jack continua ad incombere su di noi, quasi duecento anni dopo, fino a diventare una moderna versione di “uomo nero”.
Ancora oggi sono in molti quelli che si cimentano nella ricostruzione di quei sanguinosi eventi al fine di dare un volto allo squartatore misterioso.
Inutile! Sembra che questa faccenda sia nata per far parlare di sé.
Ma analizziamo tutto con calma. I delitti si susseguirono attorno al 1888, ovvero in piena epoca vittoriana. Era, questa, un'epoca molto controversa, fatta di tensioni sociali e di fine lirismo poetico. Il romanticismo era ormai superato, e sebbene il gusto romantico nella letteratura era ancora in auge, gli intellettuali iniziavano ad aprirsi maggiormente ai problemi sociali come l'educazione delle masse o le difficili condizioni di vita degli operai e dei ceti bassi in generale.
Ancora una volta nella storia le lotte di classe contrapponevano la ricca borghesia al popolo minuto.
Era un contesto in cui, insomma, convivevano una forte indignazione popolare accanto al perbenismo esasperato delle classi più alte.
Questo è lo scenario, dipinto magistralmente da Clanash Farjeon, in cui un insospettabile psichiatra diverrà uno dei personaggi più sanguinari e noti della storia della criminologia. L'autore ricostruisce con precisione le vicende a partire dalle cronache dell'epoca, immaginando che sia lo stesso assassino a riorganizzare le proprie memorie.
In realtà, non c'è molto altro da dire dal punto di vista stilistico e narrativo. Senza dubbio è un gran libro, scritto davvero bene anche se forse con un ritmo un tantino lento.
Ma non voglio parlare di ciò che è scritto nel libro, bensì di ciò che NON è scritto e che tutti dovrebbero capire.
Clanash Farjeon non è solo un narratore. Egli è fautore di un “horror sociale” che ha pochi precedenti significativi nella storia di questo genere. Nelle sue mani, l'horror diviene strumento di denuncia, un paradigma, una scusa per parlare del sociale, dei nostri giorni.
A guardare bene, “Le memorie di Jack lo squartatore” è più un dramma psicologico che un horror. Riflettiamoci: troviamo un uomo (il nome è davvero ininfluente, giacché potrebbe essere chiunque di noi) schiacciato dal proprio ruolo sociale, castrato dal perbenismo dilagante e in piena crisi di mezza età. Immergiamolo nel contesto di incertezza sociale descritto sopra e avremo creato un mostro.
Perché in una società dove l'eufemismo è d'obbligo, sotto il velo di cortesia, delicatezza e buongusto, si nasconde sempre un coacervo di frustrazioni e istinti repressi che, come la psicanalisi freudiana ha dimostrato, devono per forza emergere in tutta la loro potenza per allentare le pressioni psicologiche. Appare interessante notare come due anni prima dei delitti di Whitechapel, nel 1886, Robert Louis Stevenson, con dote quasi profetica, abbia dato alla luce “Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mr. Hyde”.
Similmente all'opera citata, in “Le memorie di Jack lo squartatore” abbiamo un altro caso di personalità doppia: di giorno il protagonista è un eminente psichiatra, di notte una bestia fredda e sanguinaria.
Jack si impone, quindi, come specchio della Londra vittoriana: così pulita e ordinata in superficie e così marcia e inquieta nell'animo.
In realtà, chiunque si sia celato dietro le spoglie mediatiche di “Jack lo squartatore”, era un puro. Era colui che ha superato il concetto di bene e male, che ha saputo cogliere la catarsi nell'efferatezza. Colui che ha materializzato un'aggressività onnipresente, per quanto repressa. In un certo senso, Jack è stato creato dalla società, dalla gente, prima ancora che dai media, come risposta a quello stato di cose. Gli eventi non potevano che svolgersi così. Qualcuno doveva vestire i suoi panni o sarebbe precipitato tutto l'assetto sociale. Perché Jack è il volto in ombra di una società che si nasconde dietro i “va tutto bene”. Jack è tragedia e scandalo. Jack è redenzione attraverso la barbarie; è il prendere coscienza della propria ombra e del fatto che non la si potrà mai cancellare.
Clanash Farjeon non parla del 1888, né della Londra vittoriana. Parla di oggi, delle nostre città, della nostra situazione. Tenete d'occhio i giornali, gente! Perché Jack non ha mai smesso di uccidere.
(Recensione a cura di) Valerio Bonante