mercoledì 10 novembre 2010

LE MEMORIE DI JACK LO SQUARTATORE (di Clanash Farjeon - Ed. Gargoyle Books)


Formato: brossura
ISBN: 978-88-89541-24-1
Pagine: 328
Pubblicato: Settembre 2008


Londra. Fine del XIX secolo. Quartiere di Whitechapel. Non c'è bisogno che aggiunga altro perché la vostra mente si porti per libera associazione ai sanguinosi delitti dalla firma ignota, che i giornali dell'epoca attribuirono al fantomatico “Jack lo squartatore”.
Sette delitti certi (ma forse parecchi di più) che tennero sveglia molta gente per più di una notte.
Sette donne macellate, scannate, mutilate da mani abili e poi abbandonate in luridi vicoli oscuri. Forse come monito, forse per macabra sfida all'autorità. Poi, da un giorno all'altro, più nulla.
Il caso venne archiviato, ma la minacciosa ombra di Jack continua ad incombere su di noi, quasi duecento anni dopo, fino a diventare una moderna versione di “uomo nero”.
Ancora oggi sono in molti quelli che si cimentano nella ricostruzione di quei sanguinosi eventi al fine di dare un volto allo squartatore misterioso.
Inutile! Sembra che questa faccenda sia nata per far parlare di sé.
Ma analizziamo tutto con calma. I delitti si susseguirono attorno al 1888, ovvero in piena epoca vittoriana. Era, questa, un'epoca molto controversa, fatta di tensioni sociali e di fine lirismo poetico. Il romanticismo era ormai superato, e sebbene il gusto romantico nella letteratura era ancora in auge, gli intellettuali iniziavano ad aprirsi maggiormente ai problemi sociali come l'educazione delle masse o le difficili condizioni di vita degli operai e dei ceti bassi in generale.
Ancora una volta nella storia le lotte di classe contrapponevano la ricca borghesia al popolo minuto.
Era un contesto in cui, insomma, convivevano una forte indignazione popolare accanto al perbenismo esasperato delle classi più alte.
Questo è lo scenario, dipinto magistralmente da Clanash Farjeon, in cui un insospettabile psichiatra diverrà uno dei personaggi più sanguinari e noti della storia della criminologia. L'autore ricostruisce con precisione le vicende a partire dalle cronache dell'epoca, immaginando che sia lo stesso assassino a riorganizzare le proprie memorie.
In realtà, non c'è molto altro da dire dal punto di vista stilistico e narrativo. Senza dubbio è un gran libro, scritto davvero bene anche se forse con un ritmo un tantino lento.
Ma non voglio parlare di ciò che è scritto nel libro, bensì di ciò che NON è scritto e che tutti dovrebbero capire.
Clanash Farjeon non è solo un narratore. Egli è fautore di un “horror sociale” che ha pochi precedenti significativi nella storia di questo genere. Nelle sue mani, l'horror diviene strumento di denuncia, un paradigma, una scusa per parlare del sociale, dei nostri giorni.
A guardare bene, “Le memorie di Jack lo squartatore” è più un dramma psicologico che un horror. Riflettiamoci: troviamo un uomo (il nome è davvero ininfluente, giacché potrebbe essere chiunque di noi) schiacciato dal proprio ruolo sociale, castrato dal perbenismo dilagante e in piena crisi di mezza età. Immergiamolo nel contesto di incertezza sociale descritto sopra e avremo creato un mostro.
Perché in una società dove l'eufemismo è d'obbligo, sotto il velo di cortesia, delicatezza e buongusto, si nasconde sempre un coacervo di frustrazioni e istinti repressi che, come la psicanalisi freudiana ha dimostrato, devono per forza emergere in tutta la loro potenza per allentare le pressioni psicologiche. Appare interessante notare come due anni prima dei delitti di Whitechapel, nel 1886, Robert Louis Stevenson, con dote quasi profetica, abbia dato alla luce “Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mr. Hyde”.
Similmente all'opera citata, in “Le memorie di Jack lo squartatore” abbiamo un altro caso di personalità doppia: di giorno il protagonista è un eminente psichiatra, di notte una bestia fredda e sanguinaria.
Jack si impone, quindi, come specchio della Londra vittoriana: così pulita e ordinata in superficie e così marcia e inquieta nell'animo.
In realtà, chiunque si sia celato dietro le spoglie mediatiche di “Jack lo squartatore”, era un puro. Era colui che ha superato il concetto di bene e male, che ha saputo cogliere la catarsi nell'efferatezza. Colui che ha materializzato un'aggressività onnipresente, per quanto repressa. In un certo senso, Jack è stato creato dalla società, dalla gente, prima ancora che dai media, come risposta a quello stato di cose. Gli eventi non potevano che svolgersi così. Qualcuno doveva vestire i suoi panni o sarebbe precipitato tutto l'assetto sociale. Perché Jack è il volto in ombra di una società che si nasconde dietro i “va tutto bene”. Jack è tragedia e scandalo. Jack è redenzione attraverso la barbarie; è il prendere coscienza della propria ombra e del fatto che non la si potrà mai cancellare.
Clanash Farjeon non parla del 1888, né della Londra vittoriana. Parla di oggi, delle nostre città, della nostra situazione. Tenete d'occhio i giornali, gente! Perché Jack non ha mai smesso di uccidere.
(Recensione a cura di) Valerio Bonante

Nessun commento: